Personale di Silvano Caria “LUOGHI DI APPARTENENZA” dal 1 al 31 agosto 2014 Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu” Strada Lunamatrona-Collinas

Sa Corona Arrubia Museo Sa Corona Arrubia Museo Naturalistico del Territorio G.PuscedduLe opere possono trasmettere sensazioni e comunicare anche attraverso il contatto fisico, lo dimostrano i lavori di Silvano Caria che da anni si è imposto nel panorama dell’arte isolana, grazie ad un particolare e ricercato utilizzo della tecnica mista, connubio ideale tra tecnica pittorica ed utilizzo sapiente di materiali naturali provenienti dalla sua terra. La mostra dell’artista samassese va oltre il figurativo classico, presentando un percorso tattile, in cui la materia finisce per assumere un ruolo centrale e predominante.

L’inaugurazione della personale “LUOGHI DI APPARTENENZA” si terrà venerdì 1 agosto alle ore 19.00 presso il Museo Naturalistico del Territorio “G. Pusceddu” e si potrà visitare fino al 31 agosto 2014. Alla vernice si accompagnerà la conclusione della personale “FUORI DALLA ROTTA DEI GABBIANI” di Antonio Ledda.

Personale di Silvano Caria “LUOGHI DI APPARTENENZA” dal 1 al 31 agosto 2014 Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu” Strada Lunamatrona-Collinas

Presentazione della personale di Silvano Caria

Per comprendere le opere di Silvano Caria non basta semplicemente guardarle: bisogna toccarle, perchè sono lavori che parlano attraverso le sensazioni tattili che trasmettono quando ce li troviamo di fronte. La materia ha infatti un ruolo centrale in tutta la sua produzione artistica perchè egli ama conoscere attraverso il tatto, trasformando e reinventando gli oggetti e i materiali, inserendoli in contesti inusuali o facendone un utilizzo inaspettato. Perciò questa mostra va oltre il figurativo classico, senza che per questo Caria debba necessariamente essere inquadrato in una corrente dell’attuale panorama artistico e senza che ciò comporti la negazione della tecnica accademica appresa dai grandi maestri figurativi pavesi. Non è questo l’intento che l’autore si è prefissato quando ha deciso di mostrare le opere che egli stesso definisce “memorie nei cassetti”, la sua galleria di ricordi, di sensazioni, di momenti e luoghi che appartengono al suo vissuto. Lungi dall’idea di lasciare il pubblico senza chiavi di lettura per comprendere e commentare i quadri esposti, il suo intento è, all’opposto, quello di avvicinarci alla sua dimensione più personale, sperando di suscitare curiosità e alla fine un dialogo su quanto emerge dalla tela o da differenti supporti. La mostra si rivela, dunque, una inaspettata e ricchissima antologica attraverso la quale ci vengono proposti i temi e i risvolti che l’arte del pittore assume quando dipinge soltanto per sè e non per assecondare le regole del mercato. E offre una occasione quasi rara dal momento che egli è sempre stato restio ad esporre questi lavori creati in un lungo arco di tempo. Ciò che distingue Caria da altri artisti, che utilizzano altrettanta matericità, consiste nel fatto che queste opere traggono origine da episodi, aneddoti o memorie che gli necessita fissare sulla tela. Sarà poi la sensibilità dell’artista a trasformare un materiale apparentemente insignificante, come potrebbero essere il fango, la paglia o una piccola radice, in un lavoro che dà forma alle sue sensazioni. Così nascono i “Luoghi di appartenenza” che non rappresentano soltanto o necessariamente la sua provenienza, le sue origini, la sua terra, che pure occupa un importante primato in quanto fonte di molti aspetti della sua ispirazione. Anzi per Caria questi luoghi, non sono dimensioni esclusivamente geografiche, ma circostanze nelle quali l’autore si è sentito “a casa” e che prescindono dal posto in cui ci si trova: a volte sono memorie alle quali ha sentito di appartenere, come molto eloquentemente spiega il filo spinato tra i mattoni, ricordo bruciante della sua visita in Polonia. Oppure in “Esodo”, assumono la forma del solco che divide noi e le terre dei profughi, una distanza che egli vorrebbe colmare con un immaginario ponte di fili di lana, rimandandoci a temi di triste attualità. Un legno levigato dalle onde del mare, raccolto e conservato per chissà quanto tempo, trasformato dall’estro dell’artista e dal frammento di memoria che porta con sè, talvolta o un pugno di terra e paglia rappresentano occasioni attraverso le quali può dar corpo al legame con il vissuto, alle sensazioni provate in certe circostanze. Maneggiando terra, legni, spugne di mare, si risvegliano i sensi, si rammentano i profumi, le gioie, e così dalla materia ricreata vengono fuori “I nidi” che fissano le sensazioni provate nella solitudine della notte, seduti a pescare in un posto quasi irraggiungibile. E tutti quei fili di lana, di corda, tesi sono la speranza che si possano ricucire i legami di solidarietà. E altri solchi sulla terra, stavolta pieni di colori sgargianti, rappresentano nel “Progetto per paesaggio naif” il suo auspicio per una futura e pacifica convivenza tra le genti. La materia però, non è il solo elemento di queste opere, essa si accompagna spesso a cromie sfacciate, prepotenti, altre volte decisamente più cupe o ancora calde o tenui, quasi pacate. Anche i colori assumono molta importanza in questi lavori e a noi offrono un ulteriore supporto nella loro comprensione. Non è raro trovare una scala di grigi e materiali ferrosi utilizzati per rappresentare i drammi della nostra attualità, storie difficili senza che sia necessario di caricarle di tragiche immagini. Oppure possiamo imbatterci in colori sgargianti, legni, foglie e simboli attraverso i quali ci vengono raccontati aneddoti; o ancora zolle appese, intrecci, arbusti, come nello spettacolare “Ordini e disordini” per ricordare storie vissute. Anche i colori sono dunque condizionati dal vissuto e dal momento contingente. In questo senso i lavori di Silvano Caria, a metà strada tra pittura e scultura, ma comunque senza canoni, possono essere essere definiti, in maniera più esaustiva, come opere sensoriali e nonsoltanto materiche.

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Dott.ssa Stefania Sini, curatrice di mostre
Specializzata in tutela e valorizzazione del patrimonio culturale

Testo critico Silvano Caria

Cos’è l’artista? Nella concezione comune, colui che ‘ha un dono’, in virtù del quale si pone al centro e fa da tramite fra uomini ‘comuni’ e il mondo della Bellezza, un mondo ‘spirituale’ non immediatamente percepibile all’occhio privo di tale sensibilità. In tal senso Caria è l’artista perfetto, che con la curiosità del ‘bambino’ e la sapiente ricchezza tecnico-espressiva del maestro ‘interroga’ la natura, il mondo fenomenico e umano, ne indaga implicazioni e trame di rapporti. Quella che ci offre in questa mostra è un’arte ‘viscerale’, molto materica, forte ed evocativa, che non a caso si serve di una tavolozza differente dal solito, atta specificatamente a rendere ed evocare storie, sensazioni, vissuti ‘densi’, ove il tattile ricopre un ruolo principe. Sin da piccolo Caria ha avuto a che fare con la ‘materia’, con la terra, da quando con la madre partecipava al rito di su ladiri, restando, ‘sentendo’ la terra con i piedi, facendo esperienza di un’energia e un entusiasmo che vanno in circolo nel corpo, vi restano e affiorano nell’amore per il tattile. I ‘luoghi da cui proveniamo’ contribuiscono di certo, in varia misura e più o meno inconsciamente, a fare di noi ciò che siamo oggi: quel territorio di confine che ci siamo lasciati alle spalle e che è l’infanzia affiora e parla di noi attraverso ciò che realizziamo. Difatti è il ‘tattile’ la sensazione e la resa artistica più amata e privilegiata da Caria, ben presente in tutte le opere, tutte da ‘sentire’, e non solo al tatto.
Caria conosce sin dagli anni 70 un interessante percorso figurativo grazie anche al contatto coi grandi maestri pavesi, ma oggi è primaria l’esigenza di andare ‘oltre’, di raccontare la ‘verità nuda’ e più profonda delle cose attraverso un linguaggio artistico che non è più, non solo, quello meramente figurativo, ma si serve di mezzi espressivi che sono ‘altri’, più viscerali ed evocativi, che passano per l’amata ‘tattilità’. Caria ama sentirsi coinvolto e ‘travolto’ dalle sensazioni, dai fenomeni, dalla materia che in ogni suo piccolo frammento anche apparentemente insignificante ha invece una storia da raccontare: lui la coglie, la registra, le rende giustizia e nuova vita inserendola in un’opera, ricoprendola di nuovo colore o trasformandola nel perno centrale attorno al quale sviluppare una nuova storia di felice sincretismo cromatico e soprattutto dimensionale.
Caria chiama infatti in causa, nelle sue opere, varie ‘dimensioni’: è il caso per esempio del ”Paesaggio naif”, gioiellino che appartiene a quella serie di opere che ‘non sono né pittura né scultura’, ma che combinano felicemente tattilità e visibilità in un gioco di vuoti e pieni, sospensioni ed elementi ancorati in una riuscitissima sintesi di entrambe.
L’artista che si mette ‘in ascolto’ e osservazione della natura, ne scruta e indaga le leggi che sovrintendono ai fenomeni di creazione e trasformazione, nascita, nuova vita e ‘passaggio’: ciò che ne consegue è la ‘scoperta’ di regole e processi formativi che racconta e riproduce nella sua arte, dove troviamo forme che se non esistono in natura, potrebbero comunque esistere in quanto rispondenti a canoni di ‘verità’ carpiti da quell’indagine, quel dialogo profondo tra l’artista e il mondo fenomenico. Caria ci offre così una chiave di lettura artistica attraverso nuovi mezzi espressivi che coinvolgono tutti i sensi, fondamentale sempre quello del tatto: il tatto è infatti uno dei sensi più immediati e coinvolgenti, quando ci presentiamo non a caso diamo la mano, protendendo il braccio a simboleggiare un ‘prolungamento’ di noi stessi, che indica sincerità, e stringiamo la mano dell’altro in segno di profonda accoglienza. I primi passi li muoviamo scalzi, in un contatto diretto col terreno che genera energia, e quando bimbi ci erigiamo in piedi, ci troviamo anche noi ‘nel mezzo’: i piedi piantati a terra, la testa rivolta all’alto.

Ecco che torna il mondo di confine dell’infanzia: il pestare la terra cruda, il sentire tattile coi piedi, un’energia che dal basso va in circolo in tutto il corpo a generare energia artistica. Nasce poi l’esigenza di ‘restituire’ quanto compreso e vissuto al pubblico fruitore, scevro dal vincolante legame di compravendita, ma ora inquadrato in un rapporto di libero dialogo che vuole suscitare curiosità, e offrire senza imposizioni una visione del mondo fenomenico attraverso l’occhio e il cuore dell’artista. Caria crea così nuovi ‘territori’ ove sentirsi ‘a casa’ grazie al potere fortemente evocativo delle opere, ove chiunque potrebbe riconoscere un angolo di cortile, un frammento di ricamo, il profumo della terra sfiorata dalle varie stagioni, un colore ‘crudo’ che ricorda le antiche colorazioni naturali, l’angolo assolato di paese o il mucchio di legnetti accatastati con cui giocavamo da piccoli. Sono questi i ‘luoghi d’appartenenza’ che sì, possono chiamare in causa la nostra provenienza anagrafica, ma coinvolgono mondi, sensazioni, scoperte individuali quanto universali che vanno ben oltre il luogo fisico, sono ‘spazi’ privilegiati dai quali ci sentiamo richiamati, accolti, nei quali ”ci si sente a casa”.

Grazie anche al potere dell’arte.

Mariachiara Sini, critica d’arte, curatrice di mostre e orientalista

Museo Sa Corona Arrubia
Tel. 070/9341009 Fax 070/9341135
www.sacoronarrubia.it

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