“PASSEGGIANDO TRA I DUE MILLENNI“ Personale di Fulvio Pinna Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu” visitabile fino al 11 gennaio 2015.
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“PASSEGGIANDO TRA I DUE MILLENNI“
Personale di Fulvio Pinna
Dal 12 dicembre al 11 gennaio 2015
Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu”
Strada Lunamatrona-Collinas
Artista poliedrico Fulvio Pinna si cimenta in tutte le branche dell’arte e sperimenta gli stili più diversi: dalle forme classiche di alcune sue sculture passa con naturalezza al simbolismo metafisico di molti suoi quadri, al cubismo e al surrealismo. La sua arte è caratterizzata dalle metamorfosi che hanno come unico fine la ricerca, attraverso la sperimentazione di nuovi e personalissimi linguaggi espressivi, della bellezza assoluta. Una bellezza non fine a sé stessa ma che diventa spesso strumento di espressione delle convinzioni politiche e culturali dell’artista.
L’inaugurazione della personale “PASSEGGIANDO TRA I DUE MILLENNI” si è tenuta venerdì 12 dicembre 2014 presso il Museo Naturalistico del Territorio “G. Pusceddu” e si potrà visitare fino al 11 gennaio 2015.
Fulvio Pinna
Ho conosciuto Fulvio in occasione di una mia mostra nella sua galleria al numero 3 della Eislebener Strasse, una traversa discreta ed elegante nel centro di Berlino e mi sono sentito subito incuriosito da questo singolare personaggio, tanto che poi ho voluto documentarmi meglio sulla sua attività di artista scoprendo la storia di un uomo che per tutta la vita è stato mosso dalla sua inesauribile passione per l’arte in tutte le sue manifestazioni. Fulvio Pinna è nato a Furtei, una cittadina sita nel cuore di quella Sardegna compresa nella pianura del Campidano e perciò dedita principalmente ad un attività contadina, un’origine che lui stesso rivendica e di cui appare chiaramente orgoglioso, ed è proprio in questo angolo di mondo apparentemente distante dai movimenti che negli anni settanta continuano a scuotere il mondo a seguito della rivoluzione appena conclusa sul finire del decennio precedente che Pinna incomincia ad avvertire dentro di sé l’urgenza di manifestare pubblicamente il suo concetto di arte realizzando opere, tra cui nel 1973 un dipinto che voleva essere un omaggio a Solgenitsin, ancora in embrione ma significative di quella che sarà poi l’impronta che manterrà nella costruzione del suo percorso personale. I suoi lavori si inseriscono da subito in un ambito che dal mio punto di vista potrei definire come un superamento di un surrealismo di sapore magrittiano con un occhio che ammicca verso la pittura di Salvador Dalì, un’arte metafisica fatta di forme sinuose e colori pervicaci per arrivare ad un informale aperto a contaminazioni di struttura avanguardista americana pur mantenendo l’intransigenza di un’originalità che continuerà a distinguerlo durante tutta l’evoluzione della sua attività. E fu proprio verso la metà degli anni settanta che Fulvio decise di tentare la fortuna partendo per Roma con pochi soldi in tasca e molta voglia di far sentire le sue ragioni di artista ad un pubblico che travalicasse i confini dell’ambito regionale sardo. A Roma studia con Moschino all’Accademia della Moda e partecipa alla Mostra Internazionale dei giovani artisti, presso il Palazzo delle Esposizioni, dove vince il 1° premio per la pittura. Con i soldi che guadagna attraverso la vendita delle sue opere acquista un atelier dove può finalmente dipingere indisturbato e continuare a portare avanti l’attività di artista che gli consente di mantenersi senza troppe difficoltà. Segue un lunghissimo elenco di mostre personali e partecipazioni a manifestazioni artistiche che lo vedono protagonista nelle maggiori città italiane ed europee. Gli anni ottanta sono caratterizzati in principio dal suo interesse nei confronti dei movimenti politici che stavano sconvolgendo l’assetto europeo determinatosi con la fine della II guerra mondiale e in particolare Solidasnosc, ispirandosi al quale realizza un polittico di 3 metri per 1,20 che si trova attualmente a Berlino. La conseguenza diretta di questa presa di coscienza lo induce a recarsi di persona nella capitale tedesca, in quegli anni una città unica al mondo, divisa in due settori contraddistinti dal famoso muro e chiusa in un enclave che era il risultato di un compromesso storico fra le nazioni. L’arte nell’ex capitale dell’impero nazista era diventata una parola quasi priva di significato e i movimenti culturali vivevano ai margini di una società che nel settore occidentale appariva invece ricca e bisognosa di stimoli per riaffiorare in superficie. Fulvio afferma convintamene di non credere nelle predestinazioni ma che nonostante tutto le cose che determinarono l’evolversi del suo percorso di artista sembrava non fossero avvenute per caso. Nel 1987 decise così di replicare la sua avventura giovanile e partire per quella città di cui sapeva poco o niente e con un vocabolario della lingua tedesca pari a zero, appoggiato anche dalla sua intuizione che gli aveva fatto capire che “Berlino aveva bisogno di un artista come Fulvio Pinna”. Il successo fu immediato soprattutto nei settori occidentali, in quella costosa Berlino fatta di lussuosi ristoranti e vita mondana adattata alle esigenze dei politici e degli industriali vicini agli occupanti americani, inglesi e francesi, merito di quella derivazione artistica così originale che ai tempi era praticamente sconosciuta e in antitesi con il dilagante espressionismo tedesco. Una delle prime performance che contraddistinse Pinna fu creare una scultura in bronzo che ritraeva il muro aperto e a proporla pubblicamente il che gli costò di essere bollato come provocatore fino al tempestoso crollo di quel simbolo di divisione ed avergli dato merito nel 1989 per la sua incredibile preveggenza. Quando venne ordinato l’abbattimento del muro tutta la popolazione della città si radunò presso la porta di Brandeburgo e Pinna stava lì ad esultare insieme agli altri con la sua scultura incriminata a testimoniare di aver partecipato con il suo piccolo contributo di artista a far avverare un sogno. Le autorità decisero di preservare buona parte di quella struttura che per tanti anni era stata il simbolo della dolorosa divisione della stessa nazione come monito alle generazioni future e anche dietro consiglio di Fulvio Pinna, che insieme ad altri artisti venne interpellato sulla questione, si convenne che il muro dovesse diventare una “galleria a cielo aperto” a cui in seguito venne dato il nome di “East Side Gallery”. Inizia così la costruzione dell’opera più grande e significativa della sua carriera, un affresco di 52 metri quadri intitolato l’Inno alla Gioia, un insieme di sapore metafisico che riporta con le sue figure e i suoi colori ai temi prediletti dall’artista, il prodotto di una mente geniale che per primo venne interpellato per cominciare i lavori di abbellimento di quella deprimente parete di grigio cemento che tanto aveva significato nell’esistenza dei berlinesi. “Andavo lì ogni mattina con la mia attrezzatura e la scaletta e venivo fermato al check point di Kreuzberg dove ero solito passare con la mia macchina,” racconta Fulvio con l’inconfondibile sorriso stampato sulle labbra. “Essendo il primo mi ero scelto un punto del muro che sarebbe stato visibile anche negli anni a venire e cominciai a dipingerlo, unico italiano, seguito subito dopo da decine di altri pittori di tutto il mondo”. Il dipinto richiese settimane di lavoro e quando fu sul punto di essere terminato Fulvio ci scrisse sopra una poesia che voleva essere un inno alla libertà di tutti i popoli del mondo affinché quello che era successo durante un doloroso frammento della nostra storia recente non potesse mai più ripetersi.
Altre opere di Fulvio Pinna sono esposte sempre a Berlino presso il Maerkische Museeum e nel 1994 realizza la scultura “Sofia” per il Premio “Notte delle Stelle” della Critica dei giornalisti italiani alla Berlinale e nel tempo esegue opere per il gruppo FIAT, Nixdorf Siemens. Wolkswagen e altre aziende a riconoscimento della grande statura di questo ineguagliabile artista. Nel corso del nostro breve incontro avvenuto in occasione dell’inaugurazione della mia mostra presso la sua galleria di Eislebenerstrasse a due passi dal famoso zoo, Fulvio mi ha raccontato che anche a Berlino i tempi sono cambiati e che però lui rimane sempre convinto che si possa continuare a fare un lavoro “politico”, fra virgolette, attraverso l’arte anche se proseguire in una simile direzione può essere a volte rischioso. Attualmente Fulvio Pinna continua a portare avanti le sue idee e la sua visione dell’arte integrandola con l’attività di modello e attore per film e pubblicità tramite una grossa agenzia con sede in quella che può essere considerata la sua città, anche se con il cuore rimane sempre legato alla sua terra d’origine e cioè la Sardegna e il suo paese, Furtei al quale dedicò nel 1985 una scultura in bronzo di 2,5 metri di altezza intitolata “Il Cigno” che forma tuttora la fontana della piazza principale. Fulvio racconta ancora che l’unica occasione che da piccolo aveva per vedere un’opera d’arte era quella di entrare in chiesa. Nel documentarmi per presentare l’opera di Fulvio Pinna ho letto alcuni commenti che a tutti i costi volevano ritrovare nei suoi quadri e nelle sue sculture dei riferimenti alle sue origine sarde e mediterranee quindi, come se ogni artista nato in Sardegna fosse bollato da un marchio indelebile che ne attesti la provenienza, relegato in una sfera espressiva limitata e limitante. Io invece mi sono fatto l’opinione che le finalità di Fulvio fossero quelle di dimostrare l’universalità della propria arte, partendo a volte da degli accenni che sembrano ricalcare la propria insularità per intraprendere inaspettatamente strade che si diramano in tutte le branche dell’arte e vanno a sfiorare le forme classiche di alcune sue sculture per addentrarsi nel simbolismo metafisico di molti suoi quadri avvampati di rutilanti colori, originali toccate e fughe in ambito cubista e surrealista per riproporsi e rinnovarsi in una continua ricerca di stili nuovi e discorsi che seguano sempre una tematica prettamente personale. Nei suoi dipinti troviamo soggetti comuni come case al mare, limoni e soli brucianti ma anche figure mitiche come una Sfinge dalle orecchie di coniglio inginocchiata in un paesaggio metafisico, numerose raffigurazioni di ballerine stilizzate da un pennello accurato in forme deco, donne con teste di cavallo e nature morte dai frutti gialli e rossi, stanze oniriche che si aprono sui mari della nostra giovinezza o della nostra infanzia quando forse eravamo più innocenti e dentro di noi si accende un rimpianto per le cose perdute e per quelle non viste. La sua geometria che strizza l’occhio ad alcune opere di De Chirico propone allo stupefatto spettatore le visioni di una irrealtà che ci trascinano inconsciamente dentro l’immagine e si materializzano all’improvviso in soggetti che ci lasciano straniti e inquieti. Ma ciò che più colpisce nei lavori di Pinna sono le improvvise e inaspettate metamorfosi che si compiono bruscamente negli anni della sua attività proponendo a volte sculture con forme levigate e tondeggianti per virare senza una ragione plausibile, se non quella di raggiungere nuovi traguardi espressivi, con altre spigolose e scontrose, a volte puntute e anche minacciose, oppure dipinti con colori caldi e armonici che precipitano in tagli freddi e aggressivi nell’estenuante travaglio di trovare risposta all’interrogativo fondamentale della scoperta finale della bellezza assoluta. Da isola il contesto fisico del nostro artista si trasforma in continente che ingloba culture e avvenimenti storici, come in occasione della caduta del muro di Berlino e della realizzazione del suo “Inno alla Gioia” il quale continua a rimanere una delle tappe fondamentali del suo percorso ma non definitiva poiché Fulvio Pinna persegue tutt’oggi la sua estenuante ricerca per trovare quella soddisfazione interiore comune a tutti i veri artisti ma anche per questo irraggiungibile.
Paolo Demontis – Scrittore