Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu” Personale di Efisio Cadoni dal 20 giugno al 21 luglio 2014

Arte52
“LA FORMA DELLA BELLEZZA”
Personale di Efisio Cadoni
Dal 20 giugno al 21 luglio 2014
Museo naturalistico del territorio “G. Pusceddu”
Strada Lunamatrona-Collinas

Il processo creativo consiste in un’evoluzione durante la quale l’artista riconosce ed esprime le proprie fantasie e le proietta nell’opera d’arte. L’artista poliedrico Efisio Cadoni ricerca il modo armonioso per poter rappresentare i soggetti che individua nella vita di tutti i giorni, tra le pieghe del suo vissuto e nel contesto in cui egli vive. Non solo pittura, ma anche scultura per un’arte libera dove le trasformazioni rappresentano momenti fondanti dell’esperienza emozionale, momenti ricchi di potenzialità evolutive.

L’inaugurazione della personale “LA FORMA DELLA BELLEZZA” si terrà venerdì 20 giugno alle ore 19 presso il Museo Naturalistico del Territorio “G. Pusceddu” e si potrà visitare fino al 21 luglio 2014. Alla vernice si accompagnerà la conclusione della personale “Essere fango” di Mauro Podda.

Efisio Cadoni vive e crea a Villacidro dove è nato il 14 luglio 1943

Efisio Cadoni vive e crea a Villacidro, dove è nato il 14 luglio 1943. La sua opera, fortemente legata al territorio aspro e ombroso dove vive, illustra l’imperioso e misterioso bisogno umano di dare forme all’esperienza di vivere, di scoprire ciò che lui stesso chiama “la forma della bellezza”. Artista totale – poeta, scultore, pittore, ceramista – dà vita a un popolo di pietra dagli sguardi alzati verso cielo, dai grandi piedi ancorati nella terra, dai visi che sono dei teneri e rudi ritratti pieni di umanità. La sua opera pittorica, eclatante di colori improbabili e di amore per la gente, potrebbe essere definita “naif”. Ma l’opera di questo grande signore, spinto dall’urgenza di creare, si può davvero rinchiudere in una qualsiasi classificazione?

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TESTO CRITICO
Presentare Efisio Cadoni significa presentare 50 anni di una creatività multiforme, nata dall’imperiosa necessità di cercare e esprimere con la bellezza l’essenza stessa di quello che significa esistere. Un artista proteiforme che non si lascia circoscrivere da definizioni stilistiche formali. Poeta, scultore, pittore, egli lavora la lingua, la pietra, l’argilla, il bronzo, la ceramica. Un artista che vede misteriose corrispondenze tra la parola e la pietra, tra il colore e il suono.
All’inizio, fin dall’infanzia, ci fu la poesía o, come la chiama lui, la sua “poesía-non poesía”. Parole raffinate, intrise di una sottile grazia e di uno stile ricercato, fondate su un classicismo rivendicato, e assieme colme della volontà di “frugare nel caos della parola”, di scolpire ogni singolo vocabolo, di entrare nel labirinto del linguaggio alla ricerca della “parola favolosa”. “Poesíe da appendere” come dei quadri, parola-pietra che Efisio si rappresenta come una piramide, o una fiamma. “Se la parola è una pietra” come indica il titolo di un suo opus del ‘95, quando la pietra diventa scultura, la materia grezza parla, urla, sanguina, vibra di sofferenza e di speranza sotto le mani dell’artista, e la sua voce è quella dell’umanità: legata alla terra, vittima delle guerre e delle ingiustizie, i grandi piedi profondamente ancorati nella gleba, le mani segnate dal duro lavoro, il viso rivolto verso il cielo, gli occhi grandi aperti. Sculture che emergono dalla pietra, in una processione di donne immerse nelle loro gonne, di bambine che giocano con le bilie, di suonatori d’armonica. È lo struggente dolore della “madre dell’emigrato” che nasconde il suo pianto dietro la sua mano e afferra nel suo pugno la lettera del figlio, unica traccia del suo bambino scomparso. È la bocca spalancata della ragazza del “grido”, i suoi occhi esorbitanti dall’orrore che non vediamo ma che percepiamo con tutte le nostre fibre di essere umani. È una vecchia accovacciata, la sua grande gonna e il suo fazzoletto stretto attorno al viso segnato dalla fatica della vita, quella che tutti abbiamo incontrata davanti alla porta di casa. In contrasto con il trattamento nervoso e quasi essenziale del blocco di pietra, i visi sono dei veri ritratti, ognuno con la sua personalità, la sua sofferenza, la sua insensata speranza. Come quelli stretti l’uno all’altro della “coppia”, piccolo blocco di trachite grigia vibrante di amore e di volontà di stringersi piú forte, di guardare assieme nella stessa direzione, come se fosse l’unico modo di resistere alla cruenta esperienza del vivere. O il sorriso innocente e fiducioso sulla faccia paffutella del bambino Gesú di Domusnovas, protetto fino ad essere quasi nascosto dalle mani della Madre che alza al cielo un viso inquieto e interrogativo. Queste statue ricordano misteriosamente le opere del primo medioevo, nella loro essenzialità e il loro potere espressivo “brut”. Ma è l’opera pittorica di Cadoni che esprime con piú forza il suo forte legame con la terra. È difficile capire la sua arte senza situarla nella sua Villacidro, in questa Parte d’Ispidominata dalle alte vette rocciose del Linas, lungo il rio Leni pieno di sassi e di silenzio, paese di streghe, di santi, di briganti e di poeti. Ritroviamo negli oli le madri sarde e i loro fazzoletti colorati, gli uomini tosti e cupi, i loro corpi massicci e segnati dalle fatiche della campagna, le loro mani potenti e i piedi come zavorre che inchiodano l’umanità al suolo. Ma i dipinti rivelano un Cadoni colorista di eccezione: il colore esplode e sazia l’occhio. Sotto cieli turchesi o di un nero intenso bucati da stelle eclatanti, su un fondo di colline arse seminate di pietre grigie all’infinito, su tappeti cremisi o nei boschi ombrosi dove alberi malva hanno delle forme torturate, l’umanità sarda esprime il suo dolore antico. Il pastore che cerca nella notte la pecora smarrita, bianca e luminosa, arrampicandosi sulle rocce alla fiacca luce arancione di una fiammella, nasconde una pietra nella sua mano. I sassi del fiume creano un intreccio astratto di grigi e di neri, interrotto dall’eclatante smeraldo di una lucertola. Il gruppo compatto dei contadini, che occupano le terre incolte sotto un cielo minaccioso dalle nuvole colore rame, è puntellato dal rosso sgargiante dei fazzoletti. Si è parlato di Arte naïf: certo, ma nel senso piú profondo, perché priva di ogni accademismo, di ogni preconcetto, libera e potente nella sua urgenza. Ma anche arte compiuta, raffinata, espressione spontanea e maturata di una visione del mondo.
Un grande artista che è anche un grande signore.

Marie-France Ruf – Critico d’arte

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