Alla Libreria Dessì di Sassari è visitabile fino al 30 novembre 2014 la mostra «Complesso di astrazione» di Stefano Puddu Crespellani.
Inaugurata sabato 15 novembre 2014 presso la Libreria Dessì in Largo Cavallotti n° 17 a Sassari la mostra «Complesso di astrazione» di Stefano Puddu Crespellani. Sono lavori in cui l’autore, partendo dalla specificità del proprio mestiere di grafico, si prende la libertà di fare un uso eterodosso dei segni tipografici, trasformandoli prima in composizioni di carattere iconico e poi in frammentazioni astratte, pervase di nitore formale e non esenti da ironia.
L’iniziale prevalenza di un rigoroso bianco e nero stampato su carta lascia infine qualche spazio, nei lavori finali, per l’inserimento di elementi dissonanti, materici e cromatici, quasi a suggerire il bisogno costante di trasgressione e sperimentazione ludica insito nell’attività creativa. La mostra resterà aperta fino al 30 novembre 2014.
Stefano Puddu Crespellani (Cagliari, 1961) vive e lavora in Catalogna da quasi 25 anni, e combina la professione di grafico con l’attività artistica e l’impegno culturale. Negli ultimi anni ha esposto ripetutamente nella sua città (“Munificenze del naufragio” 2007,“Ritrovarsi a pezzi” 2011; “Fame di senso” 2014), oltre a partecipare a numerose esposizioni collettive in Catalogna, e a progetti di scambio artistico che hanno portato dei suoi quadri in Giappone (2013) e in Svezia (2014). Predilige l’uso del collage per le possibilità di commistione che offre, tra tecniche e materiali assai diversi. In queste stesse settimane è impegnato in una personale (“Retalls de temps”) al Centre d’Art la Rectoria, non lontano da Barcellona.
COMPLESSO DI ASTRAZIONE
“Ho una malattia: io vedo il linguaggio” ROLAND BARTHES
Riconosco in me una disposizione psichica che sta in continuo andirivieni tra l’astratto e il concreto, tra il linguaggio e le forme. La fascinazione per la fisicità dell’immagine, unita all’istinto simbolico, configurano nella mia mente una sorta di relazione osmotica tra il territorio e le mappe, come se ognuna potesse in qualunque momento convertirsi nell’altra.
Il segno iconico, in effetti, apre ad entrambe le direzioni: è un vettore di significato, elemento di un dialogo lanciato verso il mondo, e insieme manifestazione della propria presenza apodittica, fatta di materia visibile, che sussiste senza bisogno di rimandi. Il mio lavoro tende a svolgersi pressoché tutto in questa frontiera permeabile, dove la preponderanza non si colloca in nessuno dei due lati bensì nel continuo attraversamento tra l’uno e l’altro; più o meno come può fare un ago nel cucire due lembi di tessuto.
A fronte di una naturale propensione divagatoria, che ama fare lunghi giri prima di giungere
a destino, se mai ci arriva, ho dovuto fare i conti con una attività professionale, quella grafica, che privilegia la logica opposta, l’attività finalizzata, ovvero l’uso rigoroso di mezzi adeguati per ottenere un risultato nel modo più diretto. Anche qui, in qualche modo, una tendenza ha fatto da contrappeso all’altra, nonché da diversivo: lo sfrondamento funzionale del design a fronte della dissipazione del processo artistico; e scopri, alla fin fine, che sono due modi opposti —e complementari— di mobilitare un potenziale creativo: contestualizzare, decontestualizzare, ricontestualizzare, formano un percorso ciclico senza inizio e quindi senza fine. L’astrazione guarda al linguaggio, sempre pronto ad arrampicarsi sulla scala dei tipi logici, così come guarda alla materia pura, sempre propensa a spogliarsi di qualunque brandello di codice prestabilito. Ed è curioso come, alla fine, gli estremi si toccano e a volte perfino si confondono. L’astrazione, insomma, può volgere alla distrazione tanto quanto alla concentrazione, tra loro imparentate in quanto moti della mente la cui dinamica offre e riceve stimolo dall’attività dell’occhio e della mano; un apprendistato specifico, che raramente viene insegnato, e che tuttavia è utilissimo per lo stato di forma del nostro atletismo simbolico.
Questa piccola serie di lavori mostra uno dei tanti possibili viaggi d’andata e di ritorno tra il segno e la significazione. L’andata consiste in un processo di smontaggio dei caratteri tipografici, che vengono sottratti al loro consueto ruolo alfabetico e restituiti alla loro fisicità
di segni. Alla trasgressione del codice d’origine segue un processo di ricombinazione formale, secondo regole intuitive più vicine alla «gestalt», fino a giungere a rappresentazioni sintetiche di personaggi immaginari. Il viaggio di ritorno nasce dallo sminuzzamento di quelle sintesi iconiche per ottenere frammenti di una topologia nuova, fatta di pure forme, come se si trattasse di territorio vergine, ancora non colonizzato da alcun codice. Quando cominci ad esplorare le potenzialità espressive del segno avulso, cioè astratto dalle proprie circostanze, scopri una purificazione inattesa del suo valore grafico, che troppo spesso implode nell’agitazione dei significati. Comincia qui un esercizio di composizione ritmica, dove le forme astratte si rivelano improvvisamente nei loro valori più concreti: il peso dei neri sull’agilità del bianco, i valori di spessore e sottigliezza espressi dalle linee, la sintassi di spazi e di forme, col loro enigma e la loro evidenza. E dopo la forma depurata, ecco di nuovo la pulsione sommatoria; il bisogno di introdurre elementi, aggiungere colore, procedere verso qualcosa di vagamente affine ad una costruzione… Dirà ciascuno se preferisce una tappa concreta del percorso, oppure il viaggio di per sé, nel suo complesso.
Stefano Puddu Crespellani [Sassari, novembre 2014]